L’intervento di Nicola Mattina allo scorso ZenaCamp è stato uno di quelli che mi ha dato più spunti di riflessione.
Condivido però le obiezioni all’impostazione un po’ positivistica insita nel parallelo democrazia-web 2.0 espresse al momento da Gaspar Torriero ed altri.
Nel senso che il parallelo è un po’ debole visto che reggerebbe solo se per democrazia si intendesse la democrazia diretta (in quella rappresentativa non si ha accesso diretto alla gestione della cosa pubblica ma si esercita, attraverso il voto, delega a rappresentarci).
Detto questo, la logica bottom-up delle applicazioni 2.0 è sicuramente più “democratica” della lettura di contenuti generati da terzi e sui quali non si ha nessuna possibilità di mettere del proprio o di generare interazione.
La rete però ovviamente non è poi così democratica, soprattutto per queste ragioni:
– necessita di conoscenze specifiche (e in Italia solo il 44% della popolazione usa il computer)
– necessita di una connessione (quindi denaro, e questo non è un fatto secondario)
– necessita di un livello culturale tale da far generare il desiderio di usarla e da farne comprendere le potenzialità conoscitive e comunicative
– non è ugualmente permeabile alla voce di tutti, ossia i famosi hubs hanno un peso e la voce del nuovo utente che si affaccia, seppur qualificato, un peso minore… (e quindi, orwellianamente, qualcuno è più uguale degli altri) anche se ovviamente val la pena di tentare, se si ritiene di aver qualcosa da dire, di investire energie per guadagnare credibilità.
– infine la rete è quella che noi conosciamo solo in una piccola parte delle terre emerse!